Show Ciao a tutti da NOI QUELLI DEL DOLORE CRONICO, la storia di questa settimana riprende il problema dell’errore medico non riconosciuto nella sua gravità e, soprattutto, nelle immense conseguenze che può causare. Segue ancora una volta abbandono e disinteresse per il paziente. Qualcuno potrebbe pensare che parliamo sempre delle stesse problematiche. Purtroppo è proprio così: la storia di uno è frequentemente la storia di tutti. ECCO LA NOSTRA STORIA 1969, un
secolo fa. L’anno delle mie prime mestruazioni, l’anno del mio primo dolore alla schiena. Il mio medico disse che, per noi donne dipendeva tutto da “lì”. Io avevo la scoliosi ma nessuno se ne accorse. Mia madre, sola, mi credeva. Mi lasciava il posto in autobus, mi chiamava un taxi quando ero troppo dolorante per camminare. Per tutti ero solo una bambina viziata. Approdo al Centro del dolore di Careggi (Firenze). Le persone sono straordinarie ma le cure inefficaci. Per loro l’ultima spiaggia sono delle infiltrazioni a base di cortisone e lidocaina ma l’effetto di queste è far sparire il dolore per 24
ore, non più. Torno a Firenze e sopporto questa specie di sarcofago in cui sono imprigionata per 15 giorni. Poi me lo tolgono. Non è cambiato nulla, il dolore è lo stesso. Il commento dello specialista è “ Allora bisogna operare”. Mi dice che non è un intervento difficile ma delicato. Preleverà dell’osso dall’anca e lo metterà in una specie di gabbietta che poi inserirà fra L4 e L5. Fisserà il tutto con 4 viti in titanio. Sono terrorizzata ma lui dice che, dato che non sono in menopausa, andrà tutto bene e poi, dato che faccio un lavoro sedentario (sono un’insegnante), al massimo in 2 mesi tornerò al lavoro. Ci penso tanto, ho paura, chiedo consigli ma nessuno me li sa dare. Infine nel maggio del 2001 abbraccio in silenzio i miei alunni ed esco dall’aula. Non ci rientrerò più. L’intervento, fra anestesia e tutto, dura 6 ore. Quando mi sveglio il dolore è atroce ma passeranno molte ore prima che mi diano un antidolorifico. E il giorno dopo la tragedia. Viene un medico a visitarmi e mi dice di sollevare la gamba sinistra. Io fisso la punta del piede e concentro tutte le mie forze ma la gamba rimane immobile. Provano a mettermi in piedi ma mi affloscio come un sacco vuoto. E’ chiaro che qualcosa è andato male ma nessuno lo ammette. Incontro un paziente, operato come me, ingessato come me che però aveva avuto sollievo da quell’ingessatura. Aveva avuto la mia stessa diagnosi “Bisogna operare” Allora cos’era? Un esperimento? Una presa di giro? Solo mesi e mesi di fisioterapia riusciranno a rimettermi in piedi. La gamba recupera la forza ma il dolore è sempre molto forte. Zoppico, giro disperatamente da un medico
all’altro senza risultati, vado in depressione. Poi nel 2003 mio marito mi convince a tornare al lavoro ma non più come insegnante, non ce la faccio. Mi danno un’utilizzazione in segreteria in una scuola vicino casa. La commissione medico-legale scrive “ Assolutamente e permanentemente inidonea all’insegnamento” Ogni parola è una coltellata. Mi impegno nel nuovo lavoro ma non riesco ad entrare in una classe. La vista dei bambini mi fa scoppiare a piangere, i colleghi mi odiano considerandomi una
privilegiata (!). Ma non mi arrendo. Durante i miei consulti scopro che una delle viti è più lunga di quel che dovrebbe essere di qualche mm e quindi comprime la radice nervosa. Mi rivolgo ad un’eminenza, il primario del Rizzoli di Bologna che mi consiglia di “smontare “ tutto l’apparato ma si rifiuta di operarmi dicendomi con molta onestà, che “l’ultimo ha sempre torto”. Così non mi resta che tornare a Milano. Il dottor M.B.B accetta di rioperarmi ma, precisa, senza nessuna garanzia. Nel 2004
vengo rioperata. Mi dice che ha tolto dell’osso intorno alla radice nervosa ed ha fissato la struttura con altre due viti. Poi mi dice “IO ora, non ho più niente a che fare con lei”. L’operazione risulta del tutto inutile. Un altro fallimento. Sono passati tanti anni e la vecchiaia fa il resto. Artrosi dell’anca,
necessità di plantari e scarpe ortopedici, cateratte precoci, tiroidite, ernia iatale con reflusso gastrico, febbri frequenti di origine sconosciuta che diversi ricoveri non riescono a scoprire. Dulcis in Vorrei che fosse questa l’ultima pagina della mia storia. Quante punture di DICLOREUM si possono fare in un giorno?1 fiala da 75 mg al giorno per via intramuscolare, iniettata profondamente nella natica a livello del quadrante supero esterno (cambiare la parte). Nei casi gravi, 2 iniezioni al giorno, passando appena possibile alle compresse o alle supposte. Il prodotto deve essere somministrato esclusivamente negli adulti.
Quante punture di Muscoril al giorno?04.2 Posologia e modo di somministrazione
La dose raccomandata e massima è di 8 mg ogni 12 ore (16 mg al giorno). La durata del trattamento è limitata a 7 giorni consecutivi. Per la forma intramuscolare: La dose raccomandata e massima è di 4 mg ogni 12 ore (8 mg al giorno).
Quante volte al giorno si possono prendere le compresse di DICLOREUM?Terapia d'attacco: 1 compressa, 3 volte al giorno. Terapia protratta: 1 compressa, 2 volte al giorno (mattina e sera); è possibile in alcuni casi una ulteriore riduzione della posologia. È preferibile la somministrazione durante o dopo i pasti (colazione e cena).
Quanto impiega il DICLOREUM a fare effetto?L'attività analgesica del diclofenac è caratterizzata da un inizio rapido (15 minuti circa per via i.m.) e da un effetto duraturo. In caso di dolore associato a dismenorrea, il diclofenac (50-100 mg) ha indotto analgesia entro 30 minuti e l'effetto analgesico si è mantenuto per circa 8 ore.
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