[Dopo aver rubato uno scooter uguale a quello sottratto a Nico poco prima] Nico: Porca... Manu: Cosa c'è? Allora? Nico: Manu, qual è la cosa che mi annoia di più al mondo? Manu: Il calcio. Allora? Nico: E allora guarda lì: non è il cazzillo. [Soprannome dato allo scooter] Manu: Ma no! Nico: Che cazzo ci farebbe un adesivo della Juventus sul mio cazzillo? Manu: Ma è il cazzillo, dai... Nico: Guarda la targa, non è lui. Manu: È uguale però, oh... Nico: Mado', non ci voglio credere, no... Manu: Ma cazzo, era uguale però, eh... Nico: Porca puttana, mamma mia... Manu: Che si fa? Nico: Si fa che qua dobbiamo andare prima che ci blindano, dai. Presento qui di seguito una selezione di frasi, citazioni e aforismi sulla Juventus. Tra i temi correlati si veda Frasi, citazioni e aforismi sul calcio e i calciatori, Le frasi più belle e celebri di Gigi Buffon e Le frasi più belle e celebri di Cristiano Ronaldo. ** Frasi, citazioni e aforismi sulla Juventus Alla Juventus vincere non è importante, è l’unica cosa che conta. Signore e Signori. Benvenuti a casa! Siamo decine di milioni di tifosi nel mondo, siamo milioni in Italia e centinaia di
migliaia in questa città. Sappiamo gioire, sappiamo soffrire, sappiamo stringere i denti, sappiamo vincere. Noi siamo la gente della Juve. Sono nato juventino. Da piccolo hanno persino provato a lavarmi ma le strisce non sono mai venute via. Il capolavoro di Conte? Non solo rivincere lo scudetto dopo il settimo posto dell’anno prima, ma farlo da Juve. Alla fine della
partita sulla sua fronte non c’erano gocce di sudore, semmai qualche goccia di champagne. Quello che noi oggi chiamiamo Juventus nacque nel novembre 1897 su una panchina di Corso Re Umberto, lì dove il gran vialone Sabaudo fa angolo con Corso Duca di Genova, e per iniziativa di un gruppo di studenti del Liceo Ginnasio più famoso di Torino, Il Massimo D’Azeglio. Juventus, una dizione che si sarebbe rivelata perfetta perché non ancorava
sentimentalmente il nome della squadra all’una o all’altra città italiana e bensì a un valore e a una speranza universale, la “juventute”. L’ideologia, la religione, la moglie o il marito, il partito politico, il voto, le amicizie, le inimicizie, la casa, le auto, i gusti letterari, cinematografici o gastronomici, le abitudini, le passioni, gli orari, tutto è soggetto a cambiamento e anche più di uno. La sola cosa che non sembra negoziabile è la squadra di calcio
per cui si tifa. Sono diventato juventino il primo giorno che sono arrivato a Torino, quando mi sono reso conto quanto la Juventus fosse odiata dal resto delle tifoserie d’Italia. Il loro odio io l’ho trasformato in amore per la Juventus. Contro tutto e tutti. Quella maglia era una corazza. Sono juventino da sempre, fin da quando sedicenne nel River Plate, in Argentina, avevo come allenatore Renato Cesarini (quello della zona Cesarini). L’uomo
dei cinque scudetti vinti di fila, dal 1930 al 1935. Cesarini ogni giorno mi incantava con i suoi racconti sulla Juventus. Ascoltavo felice i nomi di quei campioni, le loro gloriose imprese e con la bocca spalancata, come un bambino che continuamente risente la sua fiaba preferita, sognavo di poter giocare anche io, un giorno, in questa squadra. E i sogni qualche volta si avverano. La Juve non è soltanto la squadra del mio cuore. È il mio cuore. Mi diverto ad abbinare i calciatori ai musicisti. Sivori aveva l’estro di Paganini. Del Piero è meraviglioso come Schubert. E Boniperti aveva la stessa grandezza monumentale di Bach. Cos’ha fatto ieri la Juve? Tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juve? L’Avvocato. Il Signore della Signoria della Signora. Altre squadra hanno avuto dei presidenti. Noi abbiamo avuto un Signore Rinascimentale. Mi sono innamorato della Juventus durante il quinquennio negli Anni 30, mio nonno mi portava agli allenamenti, al campo di corso Marsiglia e io ero impressionato in particolare dalla velocità di un giocatore, l’ungherese Hirzer che venne soprannominato Gazzella. Io avevo appena quattro anni e ne rimasi affascinato. Per sempre. E’ sempre un’emozione quando mi chiedono di parlare della Juventus. Perché significa non solo ripensare ai tanti successi
sportivi, ma è percorrere un viaggio nella memoria, sul filo di tanti ricordi personali e della mia famiglia. Ed è un piacere immenso ricordare che tutto il ‘meglio’ del calcio è passato dalla Juve. La Juve è sempre stata un meraviglioso dipinto, e un meraviglioso dipinti ha bisogno di una cornice meravigliosa come questa. Sono felice che abbiate sorriso, esultato, pianto, cantato, urlato
per me e con me. Per me nessun colore avrà tinte più forti del bianco e nero. Avete realizzato il mio sogno Nella Juve Del Piero ha trovato la protezione dell’organizzazione e del successo. La trasformazione non ha riguardato solo il corpo ma anche il gioco. La Juve ha cambiato il suo sistema di gioco e Del Piero è passato da centrocampista offensivo ad attaccante, senza che calasse il suo tasso di protagonismo nel gioco, e anzi aumentando la sua quota di gol.
Quando entra in contatto con il pallone a venticinque metri dalla porta il suo calcio si riempie di soluzioni decisive e imprevedibili. La Juve vive di contraddizioni che ne fanno un fenomeno nazionale e identitario. E’ la squadra degli Agnelli, della Fiat, ma anche il sogno di tanti immigrati che dal mezzogiorno arrivano a Torino. Ha una dimensione nazionale una fama internazionale, pur mantenendo la sua dimensione torinese e sabauda. Omar Sivori. Mi faceva impazzire. Secondo me è stato pure meglio di Maradona: correva, scherzava con la palla, umiliava gli avversari, menava (eccome se menava!), si beccava anche sette giornate di squalifica, poi tornava in campo e ricominciava tutto da capo. Un fenomeno. Sivori è più di un fuoriclasse. Per chi ama il calcio è un vizio. La Juve degli anni cinquanta (ricordo ancora a memoria la formazione) giocava un calcio d’attacco,
magari prendeva tanti goal, ma ne segnava sempre uno in più. Era la Juve della fantasia di Sivori, della generosità di Charles e delle lucidità di Boniperti. Chi vince scrive, chi arriva secondo ha fatto un buon campionato ma non ha fatto la storia. Questa maglia ha sempre fame. Boniperti venne provato in un paludoso pomeriggio al Comunale, nel ruolo di centravanti, in una partitella contro le riserve del Fossano. Dal
fango il futuro presidente della Juve sradicò sette palloni per infilarli nella rete del povero portiere fossanese. Il giorno dopo Carlin scrisse che alla Juve era nato un settimino. Io sono juventino, ma talmente juventino che pure alla televisione guardo solo film in bianco e nero! Antonio Conte iniziò a giocare – segno del destino – nella Juventina, una squadretta di Lecce, sognando Tardelli e la Juventus. Platini
era aristocratico perché giocava al calcio guardando con distacco, dall’alto, tutto il suo circo. Platini non leggeva le pagelle del Lunedì. Ma solo i comunicati stampa del Pallone d’oro. Era Platini. Uno dei rarissimi numeri 10 capaci di vincere la classifica dei cannonieri quasi controvoglia, di sdraiarsi in mezzo al campo invece di aggredire l’arbitro per un goal annullato. – Ma come Platini, lei fuma nell’intervallo di una partita – disse Gianni
Agnelli. Quando Platini mi regalò uno dei suoi tre Palloni d’Oro, gli chiesi: ma è davvero tutto d’oro? Lui mi guardo sorridendo: “E secondo lei, avvocato, se era tutto d’oro glielo regalavo?”. Il Michelangelo della Cappella Sistina, lo scultore che sapeva trasformarsi in pittore. Sono
diventato juventino per amore. Proprio così. Per amore di mio padre. Lui era la persona che adoravo. Tutto quello che faceva o decideva per me era sacro. Mio padre era juventino. Io pure. L’unico caso anomalo e inspiegabile di fede calcistica nella nostra famiglia continua a rimanere sempre l’interista Rosario. Del resto anche lui qualche difetto lo deve pure avere. Napoli campione d’Italia? Diciamo che abbiamo concesso allo scudetto un anno di libera uscita. Della juventus ho sempre amato la maglia. Il bianconero delle righe verticali donava un’eleganza speciale ai calciatori. Ricordo Platini, forse il più affascinante nella sua andatura tanto elegante. Il sufi Zidane, l’uomo con la sfera unita al piede, l’uomo che descriveva sopra il prato archi perfetti di alta precisione, spire, vortici, scarti, nessi, legami, avvitamenti… Quando sei la Juve del
secondo o terzo posto non te ne fai nulla. Trezeguet? E’ un vero Kamasutra del gol: le mette dentro da tutte le posizioni. Il pensiero è nei suoi piedi. E poi c’è quello che ogni volta che ne sento il nome mi si torcono le budella, Andrea Pirlo, il più forte del mondo in quella zona di campo. Forte dentro la testa, sereno nell’anima, un mentale che gli fa riuscire cose impossibili anche nella morsa
dell’acido lattico. E con i piedi fa quello che vuole, disse Cruijff. Tra tanti campioni mi ha impressionato Pirlo. A Bardonecchia durante una partitella mi disse di dargli il pallone anche se si trovava in mezzo a due avversari. Io gli risposi che non volevo metterlo in difficoltà, lui replicò che non dovevo preoccuparmi. Giocando mi resi conto che potevo passargli il pallone anche in mezzo a cinque avversari, e non l’avrebbe mai perso. Questo mi ha impressionato. (Stephan Lichtsteiner) Dio creò la porta e disse a Buffon: “Pensaci tu”. Bettega era calcisticamente manigoldo e intelligente, aveva la potenza e la tecnica, svettava di testa e batteva magnificamente di piede, sapeva come stare in campo e come concludere il gioco. Impossibile più di così. Qualcuno di voi che abbia amato il calcio ricorda una sola volta che Scirea sia entrato sulla palla fuori tempo, si sia sgraziato nel movimento di
ostruire e far ripartire il gioco? Qualcuno di voi ricorda un suo gesto eccitato o fuori posto o sleale? Io non credo. O meglio quei gesti eccitati o fuori posto o sleali non ci sono mai stati. Ho “rubato” qualcosa a ciascuno dei tecnici che ho avuto. Da Parola la capacità di responsabilizzare i giovani, da Trapattoni la capacità di tenere unito lo spogliatoio, da Marchesi la serenità. E da Bearzot quella straordinaria umanità che è la base di ogni successo La prima volta che stette in ritiro con me, a Lisbona, con l’under 23, dissi che un ragazzo così era un angelo piovuto dal cielo. Non mi ero sbagliato. Me lo hanno rivoluto indietro troppo presto. Era uno dei giocatori più forti del mondo, ma era troppo umile per dirlo o anche solo per pensarlo. Il suo essere silenzioso e riservato forse gli toglieva qualcosa in termini di visibilità, ma certamente gli faceva guadagnare la stima,
il rispetto e l’amicizia di tutti, juventini e non. Pinturicchio del Piero. Mai definizione fu più azzeccata! Lui non calcia: dipinge. Lui non tira punizioni: disegna traiettorie. Quando Boniperti calciava la palla la faceva risuonare, tanto la colpiva alla perfezione. In campo Omar Sivori è guascone fino in cima ai capelli di quel gran testone. Porta i calzettoni calati sulle caviglie, senza
la protezione dei parastinchi, come a sbatterlo in faccia agli avversari che lui è talmente sgusciante e imprendibile che loro non riusciranno neppure a picchiarlo. Eruttava fuoco e fiamme alla metà del campo. Inferiore al metro e settanta d’altezza, e minuto anche di spalle e di torace, seppure intuissi che c’era della roccia sotto quei vestiti. C’erano Causio, Haller, Bettega. La velocità insieme alla
fantasia, la classe mescolata al dinamismo. Dopo arrivò gente come Benetti e Boninsegna, che aumentò forza fisica ed esperienza del gruppo. Ma quella prima Juve mi è rimasta nel cuore. Franco Causio era più brasiliano che leccese. Fin dal 1972, anno in cui debuttò in Nazionale, il suo dribbling bruciante fece il giro del mondo e alcuni cronisti si chiesero perché un jongleur così bravo non indossasse la maglia verde-oro del Brasile. Lo stadio
della Juventus mi fa lo stesso effetto di una donna: non riesco a resistere a una curva. La Juventus è conosciuta come la fidanzata d’Italia. E’ probabilmente la donna con cui ognuno vorrebbe stare. La Juventus è l’unica donna della nostra vita che non c’ha mai tradito. Non rinuncerei a uno scudetto della Juve per il mondiale della Ferrari Uno scudetto vinto da altre è sempre perso
dalla Juventus: e proprio questo è il fascino del campionato. La Juventus è un po’ nel mio DNA, quindi la conosco bene. È come un drago a sette teste, gliene tagli una ma ne spunta sempre un’altra. Non molla mai, e la sua forza è nell’ambiente. La Juventus è la squadra di adulti. Non sei mai sicuro di vincere contro di loro finché non muoiono La Juventus è la mia Nazionale. La Juve è la
Juve, deve stare sempre in alto. Quando vinceva la Juve vinceva la storia. La prima grandissima Juve che ricordo nettamente è stata quella del Trap, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Fornivamo più della metà dei pezzi del motore alla Nazionale campione del mondo in Spagna nel 1982. Ma prima di loro c’era stata la Juve d’acciaio delle tre “B”, Bettega, Boninsegna, Benetti. E dopo di loro la Juve spettacolo di Platini, Boniek e
Laudrup. Quando nel 1905 la Juventus vince quello che noi oggi chiamiamo scudetto, La Stampa diede la notizia in dieci righe, il tempo di elencare i giocatori della squadra. Tutti i giorni ringrazio il destino di essere nato juventino, mi chiedo il perché di tanta fortuna. Penso a quei “disperati” che non sono juventini e che si identificano e si gratificano soltanto in negativo, come antijuventini. Forse la perfezione non esiste, e
pure è esistito Eistein, e insomma c’è stato Platini, tra i giocatori più perfetti della sua professione. Platini l’abbiamo comprato per un tozzo di pane, poi lui ci ha messo sopra il foie gras. Ho giocato nel Nancy perché è la squadra della mia città, nel Saint-Étienne perché è la squadra più forte di Francia, e nella Juventus perché è la squadra più forte del mondo. Con la Juventus ho imparato a vincere. Non
so come è successo, è qualcosa che si respira nell’aria dello spogliatoio, sono concetti che vengono tramandati da giocatore in giocatore, è il sentimento che ti trasmettono milioni di tifosi e non c’è club nel mondo che ti faccia lo stesso effetto. Pavel Nedvěd è il più grande professionista mai conosciuto. Un giorno sento una sua intervista in cui racconta che la mattina, a casa, va sempre a correre prima di venire all’allenamento. Non ci credo e il giorno dopo lo
prendo in disparte: “Pavel, mica sarà vero quello che hai detto”… Resto senza parole: è proprio così. Si svegliava, correva da solo e poi nel pomeriggio si allenava. E arrivava sempre davanti a tutti noi!! Quando batto i calci di punizione penso: in che modo segno stavolta? O passa la palla o la gamba: entrambe no! La Juventus è stata un esempio per il mio Manchester United. Facevo vedere ai miei giocatori le
videocassette della squadra di Lippi e dicevo: non guardate la tattica o la tecnica, quella ce l’abbiamo anche noi, voi dovete imparare ad avere quella voglia di vincere. La Juve è una fede che continua ad essermi appiccicata addosso. Sono da compatire quelli che tifano per altri colori, perché hanno scelto di soffrire. Sembrava una battuta, invece lo pensavo e lo penso tutt’ora. La società più società, la squadra più squadra. Si scrive Juventus si pronuncia scudetto. “Vincere sempre, e con classe” è l’imperativo categorico della Signora. Nata come la seleção della borghesia torinese, via via è assurta a modello: una riserva dov’è vietato illudersi, dove giocare fa rima con lavorare, dove la vocazione ha il sigillo della professione. È un carattere di ferro la fidanzata d’Italia. Dentro lo stile, c’è lo stiletto. Io so cosa rappresenta la Juventus in Italia, non c’è
bisogno che lo dica anche oggi, ogni volta. In Italia o si è juventini o si è contro. Quindi noi siamo sempre soli contro tutti. Magari per loro è un fatto sporadico pensarlo, per noi è un fatto sistematico. È stato sempre così, sarà ancora così, finché la Juventus vince sarà sempre sola contro tutti. La Juventus mi ha ridato la voglia di giocare a calcio. La cosa migliore per un giocatore: tornare a essere felice. Che vinca la Juve o che vinca
il migliore? Sono fortunato, spesso le due cose coincidono. Ormai in Italia non c’è più ritegno se anche il mio cuoco può comprare una squadra di calcio. Un paio di anni fa sono quasi andato alla Juve. La gente mi aveva parlato di Torino e aveva detto questo e quest’altro e che Milano sarebbe più piacevole. Ho detto: io non vado per i dannati negozi; vado perché si tratta della
Juventus. La vera gara tra noi e le milanesi sarà a chi arriverà prima: noi a mettere la terza stella, loro la seconda. Buscetta ha detto di essere ossessivamente un tifoso della Juventus? Se lo incontrate ditegli che è la sola cosa di cui non potrà pentirsi. Si scrive Juventus si pronuncia scudetto. Quando leggo un quotidiano,
sia esso anche di finanza o altro dallo sport, e l’occhio mi cade involontariamente sulla lettera J di Juventus, il cuore mi sussulta, ricevendo una grande emozione. Le strade della juventinità sono infinite. Sono strade che attraversano le appartenenze politiche, le generazioni, le classi sociali, le identità regionali e cittadine. Tifa Juve il 31 e passa per cento di tutti quelli che amano il calcio, il che vuol dire oltre dieci milioni di tifosi di Madama in tutta
Italia. Ci sono forse più juventini in Romagna che in Piemonte. |