Il ponte giapponese monet dove si trova

Il ponte giapponese monet dove si trova
Visitare Giverny. Casa di Monet

Giverny fu per oltre quarant’anni, dal 1883 al 1926, la dimora di Claude Monet, la sua opera d’arte e la fonte d’ispirazione per la sua pittura: qui l’artista infatti fu duplice creatore, al contempo giardiniere e pittore, intento a comporre quadri di luce e colore con i fiori dei suoi due giardini – il Clos Normand e il giardino d’acqua – come con gli oli sulle sue tele. Percorrendo le stanze della sua abitazione e ammirandole così com’egli le aveva vissute, si incontra infine l’uomo nella sua quotidianità, appassionato di stampe giapponesi e delle opere degli amici impressionisti.

Monet acquistò la tenuta di Giverny dopo averla scoperta per caso, mentre passeggiava nei campi in cerca di immagini da dipingere, nel 1883: l’edificio era un antico frantoio riadattato a casa di campagna, prolungato da un fienile che divenne il primo atelier del pittore e circondato da terra per il pascolo protetta da mura, a formare un giardino privato.

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Cineserie e stampe giapponesi alle pareti della sala da pranzo, gialla, di casa di Monet

Il piano terra dell’abitazione venne dipinto con i colori preferiti dall’artista che amava la pittura chiara: il giallo (per la sala da pranzo) e il blu (in cucina e nella sala), che valorizzano la ricchissima collezione di stampe giapponesi di cui Monet andava molto fiero (ne possedeva 231): le immagini del “mondo fluttuante”, ukiyo-e, rimandano a un altro mondo e furono una delle fonti dell’arte di Monet, che amava soprattutto paesaggi e fiori.

Il primo atelier del pittore col tempo divenne il salone dov’egli riceveva gli ospiti, con esposte le opere a lui più care e rappresentative della sua vita: oggi si ammirano quasi sessanta riproduzioni di quelle opere – appartenenti a Musei come il Marmottan-Monet e l’Orsay – nell’allestimento concepito dall’artista.

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Fioritura estiva di papaveri nel Clos Normand

Al primo piano si trovano le camere da letto: quella di Monet, dove morì nel 1926, ha alle pareti le opere di amici pittori come Caillebotte, Renoir, Cézanne, Signac, qui riprodotte in copia. Altre riproduzioni si trovano nella sala da toilette di Monet e nella camera di Alice, la seconda moglie sposata dopo che la prima, Camille, era deceduta a trentadue anni. L’ultima camera del piano apparteneva a Blanche, figlia di Alice andata in sposa a Jean, il figlio che Monet aveva avuto da Camille. Pur essendo sua nuora, Monet considerava Blanche come una figlia e le trasmise la passione per la pittura; lei fu l’ultima della famiglia a risiedere a Giverny, fedele alla memoria del patrigno e custode del suo mondo.

Di fronte alla casa si trova il primo dei due giardini voluti dall’artista, il Clos Normand: Monet liberò lo spazio dagli alberi che qui si trovavano quando acquistò la tenuta, gli abeti rossi molto amati invece da Alice, lasciando solo due tassi a segnare l’inizio del viale di accesso. Concepì un piccolo giardino alla francese, strutturato da cespugli ad angolo retto e iris – tra i suoi fiori preferiti – a delimitare le aiuole, creando quadrati di colore.

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Aiuole del Clos Normand e in fondo casa Monet

Sui pergolati, i cancelli e la facciata della casa dispose le rose, con varietà rare mescolate a quelle più comuni. L’amore per la sua creazione lo trasformò in un giardiniere esperto, appassionato in particolare di tulipani e di crisantemi importanti dal Giappone – collegamento tra il Clos Normand e le stampe giapponesi conservate in casa. Monet faceva arrivare centinaia di sacchi di semi e bulbi per realizzare il giardino, studiando le fioriture per seguire il mutare dei vari colori, a seconda dei mesi e delle stagioni. Reclutò un capo giardiniere, oltre a una squadra di cinque aiutanti, e si abbonò a Country Life, acquistando dizionari di orticoltura e cataloghi di piante. Creò così un vero e proprio atelier a cielo aperto, un luogo di pittura ideale, che fu uno dei motivi ricorrenti dei suoi dipinti.

Al di là della strada si trova il giardino d’acqua, costruito attorno a uno stagno grazie alla derivazione di un ramo dell’Epte. Monet lo ideò come motivo pittorico in più, uno spazio artificiale realizzato piegando la natura al proprio volere di pittore e alle esigenze della luce, a partire dall’osservazione di alcune fotografie di giardini d’acqua a Giava e dalle immagini delle stampe giapponesi.

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Stagno di ninfee e gigli nel giardino d’acqua

Raccontava: “Mi ci è voluto del tempo prima di capire le mie ninfee. Le avevo piantate per puro piacere; le coltivavo senza pensare che un giorno le avrei dipinte… Un paesaggio non ti conquista in un giorno solo… Poi, d’un tratto, come una rivelazione, sono stato colpito dalla magia del mio stagno. Ho preso la tavolozza… e da allora non ho più avuto altro modello“. Oltre alle ninfee, fra le immagini più rappresentate da Monet vi è il ponte giapponese, installato nel 1893 e in seguito ricoperto dai glicini: costituisce l’asse del giardino, uno dei suoi elementi più celebri, che richiama nel suo riflettersi sulle acque dello stagno il modello del ponte-tamburo giapponese raffigurato da Hiroshige in una celebre stampa: ne parlo in questo articolo.

Nel 1915 Sacha Guitry si recò in visita a Giverny e nell’occasione realizzò un cortometraggio muto mostrando Monet nella sua tenuta: l’artista è ripreso mentre conversa con Guitry, poi mentre dipinge sulle sponde dello stagno delle ninfee, in compagnia del suo cane, al riparo da ombrelloni chiari. Queste le immagini che furono girate:

Nel 1952 Guitry commentò le riprese, introducendo con una spiegazione le immagini girate oltre trent’anni prima e rievocando la conversazione intrattenuta con Monet.

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Fioritura di iris nel giardino d’acqua

Lungo il percorso creativo dell’artista, il giardino finì per sostituirsi alla pittura, divenendo esso stesso opera d’arte, Land Art ante litteram: un microcosmo pensato per essere dipinto, estraneo alla campagna della Normandia, e poi esistito di per sé. Nel mentre, nel terzo atelier costruito durante la guerra grazie a permessi speciali, Monet stava elaborando una visione pittorica che non aveva più bisogno di modelli dal vero e che conduceva all’astrazione. Questo spazio, che oggi ospita il bookshop, gode di una luce non più laterale – come i due precedenti – ma zenitale, grazie a grandi vetrate aperte sul tetto. Qui il pittore realizzò la serie monumentale delle Ninfee, che aprì nuove vie al confine con l’astrattismo ispirando artisti come Kandinskij, Pollock, Rothko.

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Claude Monet, Nymphéas, Musée de l’Orangerie

L’opera Ninfee è una composizione di otto tele che si estendono per una superficie di cento metri lineari; rappresenta l’apice della pittura delle ninfee che Monet aveva intrapreso una trentina d’anni prima, suggerendo “l’illusion d’un tout sans fin, d’une onde sans horizon et sans rivage”, secondo la definizione dello stesso Maestro. Fu da lui donata alla Francia all’indomani dell’armistizio del 1918 come simbolo di pace, e per essa Monet meditò a lungo l’allestimento presso l’Orangerie di Parigi, che riproduce la medesima illuminazione zenitale e una disposizione allineata di due sale ellittiche a ricordare il simbolo dell’infinito. L’inaugurazione dell’esposizione permanente avvenne nel 1927, pochi mesi dopo la morte di Monet, e chiunque abbia contemplato i giardini di Giverny non può che riconoscervi la stessa luce che inonda dal cielo.

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Claude Monet, Nymphéas (dettaglio), Musée de l’Orangerie

Consiglio di visitare Giverny in un giorno feriale, per evitare l’affollamento delle aperture festive. I giardini infatti si sviluppano attorno a stretti sentieri, che rischiano di diventare impraticabili se affollati dai visitatori. Comprensibilmente inoltre alcuni luoghi, come il ponte giapponese, sono ambita meta di selfie, il che li rende ancor più irraggiungibili. Per gli amanti dei fiori consiglio inoltre di consultare il calendario delle fioriture pubblicato sul sito internet della Fondazione, http://fondation-monet.com, sul quale sono inoltre disponibili tutte le informazioni generali utili alla visita. Per conoscere e approfondire la storia di Monet a Giverny suggerisco infine la lettura della guida curata da Adrien Goetz per la Fondation Claude Monet, di cui mi sono anche avvalsa per la redazione di questo articolo.

Ho visitato Giverny nel corso di un viaggio in Normandia e Bretagna che ha avuto come tappe, tre le altre, Jumièges, Bayeux, Guimiliau, Carnac.

Altre immagini:

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Stampe giapponesi sulle pareti della dispensa di casa Monet

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Camera di Monet nella sua casa di Giverny

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Camera di Blanche, in casa Monet

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Sala da pranzo di casa Monet

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Cucina di casa Monet

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Un angolo del primo atelier di Monet, poi salotto della sua casa

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Viale di accesso a casa Monet attraverso il Clos Normand

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Papaveri nel Clos Normand

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Stagno del giardino d’acqua

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Ponte giapponese ricoperto dal glicine nel giardino d’acqua

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Il bosco di bamboo nel giardino d’acqua

Mappa:

Quanto costa visitare la casa di Monet?

La casa e il giardino di Monet sono visitabili tutti i giorni dalla fine del mese di marzo sino al 1 novembre, dalle 9.30 alle 18.00. Il prezzo del biglietto è di 9,5 euro per gli adulti; di 5,5 euro per i bambini al di sopra dei 7 anni; di 4 euro per gli invalidi e gratuito per i bambini al di sotto dei 7 anni.

Cosa rappresenta il Ponte giapponese di Monet?

Il ponte giapponese è un dipinto realizzato a olio su tela nel 1899 circa dal pittore francese Claude Monet. Misura cm 89,5x115,3. Il soggetto è ispirato al giardino in stile giapponese del pittore presso Giverny, dove egli coltivava diverse piante esotiche che decoravano un ponticello di legno.

Come si chiama il Ponte giapponese?

Il Rainbow Bridge è il ponte che collega la città di Tokyo all'isola artificiale di Odaiba. Che la struttura sia imponente non sorprende affatto, visto e considerato che tutto in Giappone è maestosamente grande.

Cosa sapere di Monet?

Claude Monet approfondisce le leggi fisiche che stanno alla base della percezione della luce e del colore da parte dell'occhio umano. Dedica infinite variazioni dello stesso soggetto al solo scopo di catturare un momento preciso e una luce particolare, che sono l'artista poteva vedere nel momento in cui dipingeva.