Separazione con addebito per mancanza di rapporti sessuali

13 Marzo 2019

Cass. civ. 15.02.2019 n. 4623

L’ordinanza in commento si è pronunciata su una domanda di addebito di separazione personale.

Come noto, ai sensi dell’art. 151, comma 2, c.c. il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio. Gli effetti dell’addebito si riverberano esclusivamente sul piano patrimoniale, determinando la perdita del diritto all’assegno di mantenimento e dei diritti successori in capo al coniuge al quale viene addebitata la separazione.

Nel caso di specie, il marito aveva richiesto l’addebito della separazione nei confronti della moglie.

La relativa domanda era già stata rigettata in prima istanza dal tribunale, che aveva anche respinto la richiesta di assegnazione della casa coniugale e disposto in favore della coniuge un assegno di mantenimento di 700,00 euro. Il marito ricorreva dunque in appello, ma anche il giudice di secondo grado rigettava la richiesta di addebito della separazione.

Infine il coniuge soccombente ricorre in Cassazione, sostenendo che la Corte territoriale abbia commesso, nel valutare i fatti, alcuni “errori di percezione” ed abbia omesso di esaminare un fatto decisivo ai fini del decidere. In particolare, il fatto in questione viene fatto coincidere dal ricorrente con l’abbandono, da parte della moglie, della casa coniugale e con il rifiuto, di questa, di avere rapporti sessuali con il coniuge.

Con riguardo al fatto storico rilevante, di cui il marito lamentava la mancata considerazione nella causa, la Cassazione ritiene che esso sia stato valutato, e anche correttamente, dai giudici di merito.

Più precisamente, viene confermato l’abbandono della casa coniugale e il rifiuto della moglie di intrattenere rapporti intimi col marito; tuttavia siffatta situazione viene ricondotta al “clima di tensione esistente da anni nei rapporti con il marito”, e “all’opprimente atmosfera instaurata a casa dal marito, atmosfera che certo non poteva agevolare una normale vita di coppia”. Ancora, viene confermata la ricostruzione per cui i rifiuti della moglie erano ulteriormente dovuti ad una condizione fisica della stessa, come dimostrato da un intervento, subito dalla donna, alla vescica.

Non si può dunque addebitare la separazione alla moglie che, stanti le individuate circostanze, si sottraeva ai rapporti intimi.

Per quanto attiene al profilo più strettamente economico dell’assegno di mantenimento, la Corte di legittimità mantiene la soluzione adottata dal giudice d’appello; si conferma il carattere decisivo della notevole sproporzione tra i redditi del marito e quelli della moglie, tale da far emerge una posizione di forza del primo, contrapposta a quelli della seconda, che lavorava solo occasionalmente.

La Corte di legittimità dichiara quindi inammissibile il ricorso avanzato dal marito e lo condanna al pagamento delle spese di causa.

L’ordinanza in esame si inserisce a pieno nel solco di quelle decisioni di legittimità che richiedono presupposti alquanto stringenti affinché si possa giungere ad una pronuncia di addebito. É infatti ormai principio consolidato che a tal fine debba essere accertata, in maniera rigorosa, la sussistenza di un nesso causale tra la condotta contraria ai doveri nascenti dal matrimonio e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, ovvero il grave pregiudizio all’educazione della prole (cfr. fra le altre, Cass., n. 8862/2012; Cass., n. 8873/2012; Cass., n. 21245/2010; Cass., n. 12130/2001; Cass., n 7566/1999).

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Tag:#addebito, #assegno, #condannamarito, #rifiutodirapportiintimi #moglie, #separazione

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Dettagli Scritto da Bruno Giuseppe, Avvocato

Buongiorno, sono già vs cliente ed in passato mi sono rivolto a voi  positivamente, dunque vi scrivo per una domanda. Ho fatto un pò di  ricerche su internet, ho letto che tra i doveri coniugali vi è quello  di consumare anche rapporti sessuali, cosa che più di un dovere è un  piacere, ma non tutti lo intendono tale.
Ho letto anche che nelle  cause di separazione, il giudice riconosce che se un coniuge subisce  l'astinenza forzata dai rapporti sessuali, causata  dall'indisponibilità immotivata dell'altro coniuge, può addurre la  motivazione come giusta causa per la richiesta di separazione.

Esiste  un indice statistico, una ricerca medica di riferimento o qualcosa  usato a livello giurisprudenziale, per quantificare un livello  ragionevole di frequenza dei rapporti sessuali e che consenta di  discriminare che la frequenza di rapporti sessuali richiesta o   effettuata è troppo elevata o esageratamente scarsa?
E nel caso di  rapporti con frequenza tendente alla nullità, come può il coniuge  dimostrare che la frequenza dei rapporti è troppo insufficiente e  provare e dimostrare che NON si hanno rapporti sessuali (se non in  rarissime occasioni)?
Mica posso piazzarmi una telecamera e filmare  mesi di notti in bianco...

RISPOSTA

Per dimostrare “l'astinenza” per colpa di un coniuge, sussiste un unico strumento processuale: la confessione del coniuge che non ha intenzione di fare sesso !
Ovviamente non sarebbe possibile piazzare la telecamera in camera da letto, né sarebbe possibile avvalersi di testimonianze, anche perché argomenti così delicati, in genere, non si raccontano a terzi, né tanto meno questi terzi hanno avuto la possibilità di assistere ai rapporti sessuali dei coniugi.
Tanto premesso, l'addebito della separazione per colpa, a causa di astinenza forzata da sesso, è ipotesi molto rara, come sono rari i coniugi così ingenui da ammettere una cosa del genere durante l'interrogatorio con il giudice !!!
Ovviamente quando capita una sentenza del genere, la eco sul web è notevole … si scrivono pagine e pagine sui quotidiani … ma quante mogli sono così ingenue da confessare al giudice di avere rifiutato per anni, di fare sesso con il coniuge ?!

Tanto premesso, rispondo alle tue domande.

La giurisprudenza ha individuato una frequenza dei rapporti sessuali ?
Nei pochi casi di separazione per colpa a causa del rifiuto di fare sesso con il coniuge, si parla di astinenza ultrannuale (anche di sette anni !!!).
ASTINENZA dettata da repulsione personale finalizzata ad umiliare ed offendere la dignità del coniuge (Cassazione civile , sez. I, sentenza 06.11.2012 n° 19112).

Non è una questione di frequenza dei rapporti sessuali, quanto della motivazione che è alla base del rifiuto: una repulsione personale finalizzata ad umiliare ed offendere la dignità del coniuge.
Se sussiste questa particolare volontà, sono sufficienti anche pochi “rifiuti” per giustificare una separazione per colpa … sempre che ci sia la confessione giudiziale del coniuge che non intendere consumare rapporti sessuali.

A disposizione per chiarimenti.

Cordiali saluti.

Fonti:

  • Sentenza Cassazione Civile Sent. Sez. 1 Num. 19112 Anno 2012

Cosa provoca la mancanza di rapporti sessuali?

L'astinenza sessuale provoca una carenza degli ormoni che promuovono il sonno ristoratore, come la prolattina e l'ossitocina. Le donne, invece, ricevono una spinta di estrogeni che le aiuta ancora di più. Fastidi e dolori persistenti.

Quando marito e moglie non fanno più l'amore?

Marito e moglie non fanno più l'amore: conseguenze Non c'è bisogno di un atto scritto o di una liberatoria: basta la semplice assenza di contestazioni a legittimare tale situazione. Possono diversamente decidere di separarsi. Il venir meno dell'amore non è considerato una colpa e non fa scattare alcun addebito.

Quando nel matrimonio non c'è più sesso?

Si definisce matrimonio bianco un matrimonio o una relazione priva di rapporti sessuali completi, o penetrativi. Tuttavia, i momenti di intimità nei matrimoni bianchi sono presenti, così come non mancano i preliminari (o petting).

Cosa si rischia con la separazione con addebito?

Il coniuge separato con addebito perde i diritti di successione inerenti allo stato coniugale, conservando solo il diritto a un assegno vitalizio, laddove, all'apertura della successione, godesse già dell'assegno alimentare a carico di quest'ultimo.