Anfora attica a figure nereL’anfora, attribuita ad un pittore che deriva il suo nome da un vaso conservato a Berlino, riporta due distinti episodi del mito di Eracle. Informazioni aggiuntiveVaso – 550 - 525 a.C. A profilo continuo. Informazioni Provenienza: Italia, Toscana, Vulci,
Vulci Torna all'introduzione ImmaginiTorna a Il mito delle costellazioni di aprile LEONE Leo, Leonis Leo La costellazione del Leone nell'Uranographia di Hevelius (1690). Echidna, in greco la vipera, il mostro per metà donna e per metà serpente, creatura astuta e crudele la cui dimora era una cava roccia / lontano dagli dèi immortali e dagli uomini mortali, si unì al terribile iniquo e violento Tifone e partorì figli dal cuore violento, come ci tramanda Esiodo. Fra di essi vi era Cerbero, il cane a tre teste (o a due in alcune versioni) guardiano del regno degli inferi, l’Idra, serpente letale dalle cento teste che Ercole dovette affrontare nella sua seconda fatica, la Chimera, altro mostro a tre teste dalle cui bocche spirava fuoco inestinguibile, e anche un leone, il leone nemeo come venne chiamato, perché si aggirava nei pressi di Nemea, città del Peloponneso, sede anche dei giochi sportivi insieme a Olimpia. Il felino era: nutrito
da Era, la nobile sposa di Zeus, Era, la fedele sposa di Zeus, da lui troppe volte tradita, forse presagiva che un giorno avrebbe voluto vendicarsi di un’infedeltà più umiliante delle altre: Il padre degli
dèi e degli uomini Zeus stava per generare con una donna mortale niente poco di meno che un difensore dell’umanità, un uomo di forza eccezionale, più simile agli dèi che non agli uomini; tanto che alla fine di una vita messa pericolosamente alla prova fin dall’inizio e tanto impietosa quanto tormentata, sarebbe stato ricompensato dal padre potente con l’assunzione al cielo e la trasfigurazione a divinità. Zeus non scelse dunque la sua consorte celeste per mettere al mondo un figlio di tal foggia, e questo Era non glielo perdonò mai finché quel nato fu in vita. Lo ridusse schiavo di un cugino che, per volere della dea, ereditò al suo posto il trono delle cittadelle di Argo e di Micene e, obbedendo agli ordini di quell’ostile parente chiamato Euristeo, fu chiamato aduna sfida che lo avrebbe tenuto impegnato dodici mesi. Dodici prove avrebbe dovuto superare, dodici prove a cui nessun mortale avrebbe potuto sopravvivere. Di più: nessun mortale sarebbe riuscito a portare a termine conservando la vita, nemmeno la prima di esse. Ogni ordine di Euristeo era un taciuto desiderio di Era di vedere morto al più presto il figlio di Zeus e punire così il suo sposo per l’affronto che le osò. Eracle era il nome del figlio maledetto e il leone di Nemea nutrito dalla nobile sposa di Zeus, era il protagonista della prima prova che egli dovette compiere. Numerose sono le testimonianze letterarie antiche intorno a questa vicenda, ma una in particolare descrive minuziosamente con vivide parole l’impresa. E' quella di Teocrito il quale dedicò all’episodio la terza parte del suo venticinquesimo idillio il quale, proprio da esso, prese il titolo di Eracle uccisore del leone. Qui, l’uccisione del leone di Nemea venne raccontata dallo stesso Ercole, in visita presso il re dell’Elide Augia, dopo che il figlio di quest’ultimo lo interrogò sulla sua identità. L’eroe infatti era avvolto in una spessa e gigantesca pelle di leone, e il suo capo giaceva sotto le minacciose, anche se ormai innocue, fauci spalancate della testa della fiera. Fileo, questo il nome del principe, aveva udito tempo addietro di un Argivo che… … aveva annientato una belva, un tremendo leone, Eracle allora rispose al giovane, bramoso di ascoltare la storia dal protagonista in persona, di essere proprio lui quell’Argivo e di avere dato inizio con quella terribile lotta selvaggia alla prima delle fatiche impostegli da Euristeo. Ricevuto l’ordine, non perse tempo e si recò nella famigerata valle di Nemea, non lontano dalla città di Argo e situata ai piedi del monte Apesas dalle molte caverne. Tutto il giorno perlustrò la zona, ma solo alla sera incontrò l’efferato avversario. … egli sul far della sera andava verso il suo covo, Per due volte Eracle scagliò contro di lui le sue frecce ma queste, anziché trafiggere la carne del leone, rimbalzavano all’indietro vanificando ogni tentativo di sottomissione; fino a quando la bestia irritata passò all’attacco. Con queste parole il figlio di Zeus ricordò il brutale assalto: Poi, terribilmente angustiato nell’animo, Fu a questo punto che Ercole colpì il leone sul cranio con la sua inseparabile clava, il bastone massiccio di oleastro imponente, con la sua corteccia e il midollo, come ce lo descrive sempre Teocrito. Un bastone robustissimo dunque che però non resse all’impatto con la testa del leone e si spezzò in due. Il colpo tuttavia servì a stordirlo e, prima che si riavesse, Ercole lo finì: … la strangolavo serrando con energia le mie forti mani, Questa fu la fine della belva nemea, cara alla divina Era la quale volle allora onorarla portandola fra le stelle. Eracle invece ne fece il trofeo che da allora in poi avrebbe ricordato a tutti, dèi compresi, che il figlio di Zeus non temeva nulla, e la sua forza poteva competere con quella di qualsiasi creatura mostruosa gli venisse posta dinanzi. Strappate le unghie al leone morto, se ne servì per squarciarne la pelle e rivestirsene, poiché nient’altro avrebbe potuto tagliare quel manto. Così Ercole nell’arte, divenne inconfondibile proprio per essere sempre rappresentato con la clava e con indosso la pelle del leone, come si può osservare sull’anfora attica bilingue raffigurante l’ultima fatica, quella contro Cerbero, il cane a guardia dell’ingresso dell’Ade. Eracle e il cane a due teste Cerbero sull’anfora attica bilingue attribuita ai pittori di Andokides e di Lisippide. Il dipinto illustra bene gli attributi dell’eroe: la pelle del leone nemeo sul capo, conquista della sua prima fatica, la clava e la faretra con le frecce avvelenate del sangue dell’Idra di Lerna, la sua seconda fatica (Museo del Louvre, ca. 520-510 a.C.). Immagine: www.theoi.com
Moltissime sono le raffigurazioni
del combattimento, specialmente nella pittura vascolare dove è illustrato il combattimento o lo strangolamento del leone da parte di Eracle. Anfora attica a figure nere da Vulci del pittore Psiax raffigurante la prima fatica di Ercole, quella contro il leone di Nemea (Museo civico di Bresica, 530-500 a.C.). Dietro il felino Atena, riconoscibile dall’armatura e dalla civetta raffigurata sullo scudo, protegge l’eroe. Sempre dello stesso periodo e della stessa provenienza è un altro recipiente in ceramica dalle caratteristiche originali in quanto, a dispetto dell’ormai affermata tecnica a figure rosse, si avvale per i suoi personaggi della tradizione precedente e in più li raffigura su sfondo bianco, anziché su quello tipico rosso. Si tratta dell’oinochòe attica a figure nere del cosiddetto Pittore di Londra B 620, conservata al British Museum. Ercole e il leone di Nemea sull’oinochòe attica a figure nere su sfondo bianco proveniente da Vulci e attribuita al Pittore di Londra B 620 (British Museum, 520-500 a.C.). Immagine: a destra https://commons.wikimedia.org; a sinistra By Claire H. via https://commons.wikimedia.org Il vaso, che è una sorta di brocca, veniva utilizzato per versare il vino, come indica la radice oinos che questo significa. All’epoca della battaglia di Maratona, 490 a.C., risale invece lo stamnos attico a figure rosse attribuito al Pittore di Kleophrades. Stamnos attico a figure rosse del Pittore di Kleophrades con Ercole che strangola il leone di Nemea (University of Pennsylvania Museum, Philadelphia, 490 a.C.). Immagine: www.penn.museum Il vaso è un generico contenitore per liquidi che talvolta può essere dotato di coperchio a indicarne una funzione conservativa, ma veniva utilizzato anche per mescolare il vino con l’acqua, come si faceva con i crateri. Il pittore di Kleophrades è considerato un artista di altissimo livello e la sua bravura è ben apprezzabile anche su questo dipinto della prima fatica di Ercole dove in un complicato intreccio di figure, è resa in tutta la sua drammaticità la scena dello strangolamento del leone. A contatto con la terra, Ercole fa leva sulle ginocchia spingendo contro il leone che tenta di azzannarlo; col braccio sinistro l’eroe gli stringe il collo possente, mentre la mano destra gli afferra il muso dalle fauci spalancate. Dal canto suo la belva cerca con tutte le sue forze di opporsi al figlio di Zeus; con la zampa posteriore sinistra puntata sulla testa di Ercole prova faticosamente a respingerlo, ma lo sforzo sta già per dimostrarsi vano come si intuisce osservando lo sguardo sofferente, sottolineato dalla lingua fuori, segno di grande affanno. In questo disegno dal tratto perfetto, vi sono due forze immense che si fondono, attraverso l’espediente di un corpo a corpo totale. Ma allo stesso tempo, in una tensione portata all’estremo, con altrettanto vigore si respingono, energie di carica opposta senza possibilità di incontro. Venendo in epoca moderna, l’astronomo polacco Johannes Hevelius ha ritratto il felino con la sua caratteristica maestria sulla tavola uranografica dedicata alla costellazione (a inizio pagina). La tavola fa parte dell’opera Uranographia e pubblicata postuma nel 1690 a Danzica. Anche in questo mito vi è un significato analogo a quello della lotta contro l’Idra. Il leone è il re degli animali per eccellenza, e insieme alla sua forza e alla sua ferocia incarna la natura animale. La vittoria di Eracle sul leone simboleggia la vittoria dello spirito umano sull'istinto animale. Torna a Il mito delle costellazioni di aprile |