Convalescenza dopo intervento aneurisma cerebrale non rotto

Non è facile trovare professionisti della scienza come Susanna: medico-chirurgo e ricercatrice, a soli 38 anni ha all’attivo ben venti pubblicazioni scientifiche nel campo delle neuroscienze e della neurochirurgia vascolare.

MEDICO RICERCATORE

Susanna si è laureata in medicina e chirurgia all’Università di Milano con una tesi sulla terapia genica del glioblastoma, un tumore del cervello molto aggressivo. Durante la specializzazione in neurochirurgia, svolta tra il Policlinico e l’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, si è invece occupata di aneurismi intracranici, sviluppando Aneurisk, un progetto di valutazione del rischio di formazione e rottura degli aneurismi ideato da lei stessa. Dopo la specializzazione, ha conseguito anche un dottorato di ricerca in neuroscienze all’Università Bicocca di MIlano. «Mi interessano molto gli aspetti molecolari e cellulari delle malattie». Susanna infatti coltiva con successo l’attività di ricerca di base accanto al lavoro da chirurgo. All’Ospedale San Martino di Genova, si divide tra il laboratorio di neuroimmunobiologia, e la clinica neurochirurgica.

CONTRO I DANNI DELL’ISCHEMIA CEREBRALE

A Genova Susanna conduce una ricerca all’avanguardia nell’ambito delle neuroscienze. In particolare si occupa di danno ischemico in conseguenza a rotture di aneurismi intracranici ed emorragie. «Quando un aneurisma intracranico si rompe, si verifica un’emorragia, chiamata subaracnoidea», spiega Susanna. «Al di là del danno acuto, le conseguenze possono includere l’infiammazione, contrazione dei vasi sanguigni (vasospasmo) e danno cerebrale ischemico.

Sono eventi gravissimi che minacciano la sopravvivenza del paziente».  La rottura di aneurisma intracranico si associa ad una mortalità globale che può raggiungere il 35%, mentre tra chi sopravvive il 10-35% subisce un peggioramento nella qualità di vita secondario a danni neurologici. I trattamenti disponibili sono spesso insufficienti per prevenire efficacemente e contrastare il vasospasmo nonché l’ischemia tardiva.

Come trovare terapie più efficaci? La risposta che sta cercando Susanna risiede in un tipo particolare di cellule, i progenitori endoteliali circolanti. «Questi progenitori hanno alcune proprietà di cellule staminali e danno origine alle cellule endoteliali che formano i vasi sanguigni. Hanno anche effetto antiinfiammatorio, antiossidante e modulatore della risposta immunitaria, che può agire come fattore di protezione vascolare».

È possibile che i pazienti che non sviluppano vasospasmo o che hanno un decorso clinico più favorevole “mobilizzino” un numero più alto di questi progenitori? «È proprio quello che stiamo cercando di capire: se così fosse, si potrebbero usare dei farmaci, per mobilizzare queste cellule protettive dal midollo osseo nel circolo sanguigno, e migliorare il decorso della patologia, ma la strada è ancora lunga». Un approccio innovativo, che mira a potenziare un meccanismo di protezione fisiologico studiato dal confronto tra i pazienti con decorso favorevole e quelli che invece, a parità di trattamento, sviluppano queste complicanze.

OGNI GIORNO DIVERSO DALL’ALTRO

Non esiste una vera e propria “giornata-tipo” nel lavoro di Susanna «Occupandomi di una patologia acuta il paziente può presentarsi in qualunque giorno e a qualunque ora. Bisogna essere sempre pronti». Per questo, ogni giorno è sempre diverso dal precedente e va riprogrammato ora per ora, in base a ciò che accade in clinica. «Al paziente che giunge in pronto soccorso con emorragia subaracnoidea, dopo la fase diagnostica e di stabilizzazione clinica, spieghiamo in parole semplici di cosa si tratta, come prevediamo di curarlo.

Previo consenso informato viene prelevato un campione di sangue aggiuntivo durante i prelievi di routine. Su questi campioni viene eseguita la conta dei diversi sottotipi di cellule infiammatorie e dei progenitori endoteliali, tramite la tecnica della citofluorimetria che permette di rilevare anche tipi di cellule molto rare. Inoltre conserviamo piccoli campioni di siero e di sangue intero per future analisi biochimiche e un campione di sangue per le analisi genetiche. Ciascun valore misurato sperimentalmente viene poi associato ai dati sul decorso clinico del paziente. Sino ad oggi abbiamo ottenuto una partecipazione del 100%, una bellissima collaborazione tra i pazienti e le loro famiglie e il mondo della ricerca».

AMORE PER L’ITALIA

Prima di approdare a Genova, Susanna ha girato diverse città in Italia, ma ha visitato anche varie neurochirurgie Europee e non e ha svolto anche una fellowship di neurochirurgia vascolare in Canada presso il dipartimento di neurochirurgia del Toronto Western Hospital. «Ho sempre avuto la curiosità di vedere da vicino altri metodi didattici e di organizzazione; di respirare ambienti diversi e imparare da nuovi approcci a un problema».

Esperienza e conoscenza che Susanna ha deciso di mettere a frutto in Italia, dove è convinta che ci siano potenzialità enormi in ambito medico e scientifico. «Spesso, quando ero all’estero, mi capitava di vedere in sala operatoria tecnologie presentate come all’avanguardia, ma che io avevo già visto in Italia». Lavorare in Italia richiede un grande sforzo aggiuntivo: stipendi- se ci sono- più bassi che all’estero, fondi disponibili spesso carenti, spreco di forze ed energie per superare ostacoli burocratici, carriere meno sicure più lente. Per Susanna però si tratta di un impegno con il proprio paese e di una dichiarazione di fiducia che vi sarà sicuramente un miglioramento. «Ognuno nel suo piccolo contribuisce alla costruzione e alla ripresa del proprio paese».

INNAMORATA DEL SUO LAVORO

Susanna coltiva numerosi hobby; dallo sport alla musica (suona il pianoforte), dal giardinaggio al disegno e nonostante i sacrifici che il suo lavoro comporta, sottolinea con gioia  «di essere fortunata a potersi occupare di cose in cui crede e che davvero le interessano». Quando non è impegnata con l’attività clinica o di ricerca Susanna ama trascorre il tempo libero all’aria aperta in compagnia della famiglia e degli amici «Per me le persone sono come libri viventi, anzi molto di più, ognuno ha la sua storia ed è unico». Sicuramente è anche questa curiosità che motiva Susanna come  medico e ricercatore.


@ChiaraSegre

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Come si cura aneurisma cerebrale non rotto?

Il trattamento endovascolare è una normale procedura angiografica che consiste nel giungere ai vasi cerebrali mediante l'arteria femorale e nel colmare la sacca aneurismatica con minuscoli filamenti di titanio o collocando stent (piccoli cilindri di materiali malleabili) che escludono l'aneurisma dal cerebrale.

Quanto tempo ci vuole per guarire da un aneurisma?

Il processo può comunque richiedere da settimane a mesi. Studi clinici suggeriscono che nei primi sei mesi dopo il trattamento, chi è stato gestito tramite spirale endovascolare ha meno disabilità dei pazienti sottoposti a chiusura chirurgica, anche se dopo i sei mesi gli esiti si equivalgono.

Quanto si vive dopo un aneurisma cerebrale?

Il 20-30% delle persone che subiscono la rottura di un aneurisma, muore prima di raggiungere l'ospedale; il 50% muore entro 30 giorni dall'evento. La fascia di età più colpita è quella che va dai 40 ai 60 anni, anche se ciascun individuo (giovane o adulto che sia) è potenzialmente a rischio.

Come capire se si ha un aneurisma non rotto?

Quali sono i sintomi aneurismi cerebrali non rotti? A volte rimane silente tutta la vita. Raramente aumenta progressivamente di dimensioni fino a dare sintomi da "effetto massa" (cefalea, compressione di nervi cranici con disturbi della motilità oculare, crisi epilettiche etc).