Storia europea della letteratura francese sozzi pdf

Lionello Sozzi

0 Reviews

Reviews aren't verified, but Google checks for and removes fake content when it's identified

La letteratura francese si è imposta nel mondo come "terza letteratura classica", sia per la sua durata (dieci secoli, dalla Chanson de Roland a Sartre), sia perché, se da un lato ha suscitato fondamentali correnti creative e scuole di pensiero, dall'altro ha assimilato e diffuso i modelli letterari provenienti da altri orizzonti. Già a partire dal Medioevo i vari generi (ad esempio la chanson de geste) si caratterizzano per la loro dimensione europea. Nella cultura francese del Tre-Quattrocento si avvertono istanze umanistiche alla luce dell'insegnamento del Petrarca, per poi assistere alla splendida fioritura della poesia cinquecentesca contrassegnata da grandi scuole poetiche e all'affiorare della geniale inventiva di Rabelais. Questo primo volume ripercorre poi gli originali orientamenti filosofico-religiosi (da Bodin a Montaigne), sullo sfondo dell'intreccio di atteggiamenti ispirati sia alla riscoperta dei classici, specie i più inquietanti (Luciano, Lucrezio, Plutarco), sia alla compresenza di italianismo e anti-italianismo. Il Seicento si snoda sul doppio binario del Barocco e del Classicismo: è la stagione del grande teatro classico (Corneille, Racine, Molière), del pensiero filosofico e religioso che avrà in Europa la più vasta fortuna (da Cartesio a Pascal), del genere moralistico, tipicamente francese (La Rochefoucauld, La Bruyère) e di quello favolistico, che trova in La Fontaine un modello in cui confluiscono, modelli classici e italiani, spagnoli e germanici.

Scarica Storia europea della letteratura francese, vol. 2. Dal Settecento all'età contemporanea. Curato da L. Sozzi, Torino, Einaudi, 2013. e più Appunti in PDF di Letteratura Francese solo su Docsity! CAPITOLO 2 - ASPETTI DEL PENSIERO 1. IL PENSIERO FILOSOFICO E L’ANGLOMANIA Il secolo è dominato da due figure: Bayle (“Nouvelles de la République des Lettres”) e Fontenelle. I philosophes si definirono tali (non perché perseguissero una speculazione filosofica nel senso rigido del termine) perché volevano raggiungere un sapere totale, relativo a tutti gli aspetti del vivere umano, anche a quelli trascurati dalla cultura, alla luce dell’espandersi delle scienze mediche e fisico-matematiche. Il pensiero dei Lumi s’interessa anche ai problemi oggettivi dell’esistenza umana, ad esempio al mondo artigianale: l’Encycolpédie con le sue planches che riproducono attrezzi, strumenti, modi lavorativi sono l’emblema di questo primo storico avvicinamento tra la cultura e il mondo del lavoro. L’idea è che tutto è filosofia e ogni attività umana si richiami a valori e principi. Per tutto il secolo domina in Francia l’ “anglomania” (l’influsso anglosassone), la quale investe tutti i campi del sapere (scienza, politica, religione, filosofia) e tutti gli ambiti creativi (narrativa, poesia, teatro). La più importante testimonianza della presenza anglosassone è data dalle Lettres philosophiques o Lettre anglesaises di Voltaire del 1734, dove si parla di Bacone (che considera il padre della filosofia sperimentale), di Locke (che considera lo spirito più saggio per aver spiegato l’intelletto umano), di Newton (illustra le sue scoperte scientifiche e ne illustra la ricaduta sul terreno civile). 2. L’ENCYCLOPEDIE Tra il 1751 e il 1766 uscirono i 17 volumi dell’Encyclopédie, curata da Diderot e D’Alambert (sul modello inglese della Cyclopedia), a cui collaborarono anche Montesquieu, Voltaire e Rousseau. Il grande successo preoccupò la cultura dominante e il potere, le critiche si fecero sempre più aspre, finché non si giunse alla soppressione di un’opera accusata di distruggere le autorità, di diffondere atteggiamenti di indipendenza e di ribellione, e gettare le basi della corruzione dei costumi, dell’irreligione e dell’incredulità. Nonostante ciò, riprenderà tra condanne e accese polemiche, in un clima in cui si crearono dissensi anche tra gli stessi collaboratori. Nel 1759 il diritto di stampa fu di nuovo revocato e contro l’opera ci fu anche la condanna di papa Clemente VIII. Nel 1766 fu poi consentita la stampa degli ultimi dieci volumi. L’opera è preceduta da un Discours préliminaire, a cura di D’Alembert, in cui espone i principi portanti del pensiero del secolo: lui stesso dice che l’opera contiene l’essenza delle conoscenze matematiche, filosofiche e letterarie acquisite in vent’anni di studio; in cui vi è l’idea che spetti all’uomo il compito di svelare tutti gli anelli della catena dell’essere. Nell’insieme nell’opera vi è uno spirito unitario e propone la ribellione contro l’autorità politico-religiosa, il rifiuto del sovrannaturale, il richiamo alle forme concrete della convivenza umana, alle scienze positive, al mondo del lavoro. In questo senso, l’opera diventerà un potente strumento rivoluzionario. 3. IL SENSISMO La posizione sensista riguarda la forma della conoscenza, in particolare il modo in cui si formano e si espletano le varie facoltà conoscitive. Dire che la nostra conoscenza si origina dalla sensazione non vuol dire che la materia di per sé sia causa di movimento e sensazione per cui l'uomo alla fine sia un essere completamente materiale. Sul sensismo sviluppato da Condillac, si formarono le basi di un materialismo, che va contro la religione. Diverso è il pensiero di Diderot, secondo cui la materia è percorsa da un vitalismo che la rende viva e “spirituale”, spinge il materialista a unificare materia e movimento, corpo e anima, e lo spiritualista a riprendere i rapporti tra i due principi dell’essere. 4. IL PENSIERO RELIGIOSO Si pensa all’Illuminismo come un movimento di pensiero ostile alla religione: è una visione parziale e superficiale. La scienza procede ormai da sola, staccata dalla teologia e dalla metafisica; ci si interroga sul “come” piuttosto che sul “perché” dei fenomeni. La nuova scienza è ostile alla concezione di un universo dipendente solo da Dio; però accanto all’ateismo vi è anche la diffusione delle credenze tradizionali. Molti tentano la via dell’accordo tra volontà nazionale e mondanità, legge naturale e verità cristiana. L’orientamento più frequente è il “deismo”, in cui vi è però una scissione: vi sono quelli che, pur ammettendo l’idea di un Dio, negano il suo intervento provvidenziale nelle vicende degli uomini e vedono in lui un “orologiaio” che ha costruito un perfetto meccanismo ma poi lascia che esso viva per conto suo (anche Voltaire la pensa così), ma vi sono anche quelli che rimangono fedeli all’idea di un Dio buono (posizione di Rousseau nell’Emilie e nella famosa lettera a Voltaire, in cui afferma che il mal del mondo non vuol dire indifferenza di Dio, ma forse risponde a un suo disegno. Il Deismo corrisponde a una sorta di “religione naturale” condivisa dall’intera umanità, è dell’idea che Dio si può amare in diverse forme (con diverse religioni); si parla quindi di una religione “essenziale”. Nell’ Èmilie di Rousseau del 1762 l’autore stabilisce una connessione tra la natura e la religione, riconducibile essenzialmente alle ragioni del cuore. È il cuore, prima ancora della ragione, che avverte la presenza del divino nel mondo. Dunque l’unica religione valida è la “religion naturelle”, la religione del sentimento, quella che pratichiamo col cuore, per il resto tutti i culti sono validi se mirano all’adorazione dell’unico Dio. Alla fine del secolo l’idea di Rousseau della ricerca del divino nella natura e nello spazio interiore è sempre più diffusa. 5. IL PENSIERO POLITICO L’Illuminismo riguarda anche l’ordine politico: cerca il regime preferibile, il governo più adatto. Prevale l’orientamento giusnaturalistico (teoria filosofico-giuridica secondo cui esiste un “diritto naturale” sulla cui struttura vanno modellati i diversi diritti positivi). Sul terreno economico-politico emergono nuovi orientamenti, ad esempio l’idea che la principale fonte di ricchezza sia l’agricoltura. Fioriscono anche le idee di giustizia, libertà e uguaglianza. Secondo Rousseau il potere non viene dall’alto, ma dal basso; è un potere esercitato dal popolo direttamente o attraverso i suoi rappresentanti. La premessa è che il potere non è degli uomini, ma della legge; lo stesso Diderot riconosce che la legge va sempre rispettata: se è ingiusta, bisogna lottar per cambiarla; ma finché sussiste non bisogna violarla. Riguardo alla connessione tra pensiero dei filosofi ed evento rivoluzionario occorre fare delle precisazioni: all’Illuminismo che auspica a un radicale cambiamento si accompagnano i pensatori favorevoli a quello che è stato definito dispotismo illuminato, cioè ispirato a un riformismo. In campo politico non mancano le voci satiriche e ciniche, un esempio ne è Voltaire secondo cui è un’illusione che un Paese possa nascere prospero e, insieme, esser privo di vizi. La ragione non deve soffocare la passione dominante, ma correggerne gli eccessi; anche vizi, debolezze e mancanze possono avere effetti positivi sul piano sociale. 6. L’UTOPIA L’Illuminismo ha visto fermentare le più luminose ed esaltanti fantasie utopiche. L’impegno nelle vicende del loro tempo non ha impedito a un Voltaire, a un Didorot, a un Rousseau di meditare su isole felici e su lontani Eldorado; anzi, quel loro sogno di perfezione, di una libera e civile organizzazione della vita pubblica, era forse la molla segreta della loro riflessione sui problemi della loro età. Il riformismo illuministico è vitalizzato da fermenti utopici e l’utopia, a sua volta, si alimenta di varie istanze oggettive. L’utopia non si oppone al riformismo. Si pone sul terreno utopico anche la storia dei Trogloditi (nelle lettere 11-14 delle “Lettres persanes” di Montesquieu). La loro condizione originaria è feroce; la solidarietà, la fratellanza, le virtù morali e civili si 3. JEAN-JACQUES ROUSSEAU 1712-1778 La fase giovanile è segnata dal breve soggiorno a Ginevra (città natale). Nel 1728 fugge ad Annecy, dove conosce Madame de Warnes, che lo convince a recarsi a Torino. All’ Ospizio dei Catecumeni si converte alla religione cattolica. Vent’anni dopo si sposta, tra Francia e Svizzera, da una sede all’altra. Poi a Parigi incontrerà Thérèse Levasseur che poi sposerà. Nel 1749 esce il bando del concorso dell’Accademia di Digione sul tema “Se la rinascita delle scienze e delle arti abbia contribuito a moralizzare i costumi”, nasce così il primo Discours, quello “Sur les sciences e les arts” (che l’anno dopo vincerà il premio). Nel 1755 esce il secondo Discours: “sur l’origine et les fondaments de l’inégalité parmi les homme”. Nel 1756 quando Rousseau legge i poemi di Voltaire “Sur la loi naturelle” e sul disastro di Lisbona, invierà a Voltaire la “Lettre sur la Providence” (più tardi vedrà in Candide una risposta al suo scritto). Il 1757 sarà un anno di tensioni, passioni e conflitti: rimprovera a Diderot la frase “Solo il malvagio è solo”, risponde polemicamente alla voce “Genéve” che d’Alembert ha redatto per l’Encyclopédie (nascerà così “La lettre a d’Alembert sur les spectacles”). Nel 1758 ha ultimato “Julie”. Nel 1759 porta avanti la redazione dell’ “Emilie” (che una volta pubblicato, sarà bruciato) e del “Contrat Social”. Contro l’autore viene emesso un mandato d’arresto, sarà così costretto alla fuga. Da qui inizia un periodo di fuga per Rousseau, si sposta di continuo da un luogo all’altro. Morirà per un malore a Emerenonville. Tra il 1765 e il 1770 scrisse le “Confessions” (suddivise in due parti: nella prima rievoca la sua fase giovanile soprattutto il soggiorno a Torino e nella seconda parte dà spazio alla “persecuzione” e al “complotto”, e divise in sei capitoli ciascuna delle due parti). Rousseau fa della sua vita l’emblema della sua visione degli uomini: da un lato la bontà dell’uomo rimasto fedele alla natura, dall’altro il suo naufragio nella menzogna e nell’interesse. L’opera “Le Reveries du promeneur solitaire” sono suddivise in 10 promenades: iniziano col racconto degli episodi che hanno condotto l’autore da una situazione di angoscia e a una di quiete; poi si passa alla scelta dell’autore riguardo una sorta di “credo” filosofico e religioso che lo pone al di fuori delle querelles idiologiche del tempo; poi passò a trattare i temi del rapporto tra obbligo e libertà, tra sincerità e menzogna (anche in seguito all’accusa che fu fatta a Rousseau di aver lasciato i figli in orfanotrofio), tra riflessione e contemplazione sognante; terminano col breve ricordo del primo incontro con Madame de Warnes. Riguardo “Julie” tratta della protagonista che coltiva una passione vietata per il suo maestro. Rousseau poiché non ha un animo tragico, trasforma l’amore di Julie verso Saint-Preux in un’amicizia. La morte di Julie per annegamento per salvare il figlio non è una vera e propria tragedia, poiché si tratta di un atto di amore, un modo di preservare la purezza e il candore dell’io. Per Rousseau l’unico mondo degno di essere abitato è quello dei sogni, delle utopie, delle illusioni. Secondo Rousseau la libertà dell’uomo non sta nel fare quello che vuole, ma bensì nel non fare mai quello che non vuole: libertà assoluta delle proprie scelte, rifiuto di ogni rapporto di schiavitù, rifiuto del conformismo. Nel 1755 con il “Discours sur l’inégalité” pone la proprietà privata come prima origine di tutti i mali dell’uomo. In lui non c’è neppure l’ombra del collettivismo: un ritorno allo stato di natura egli stesso lo definisce impossibile così come il “Contrat Social” vede nella proprietà privata uno dei pilastri che impedisce accumuli esorbitanti di ricchezze nelle mani di pochi, ma che certo non intende soffocare, in nome degli interessi della collettività, quello spazio interiore che ciascuno è libero di coltivare come vuole e in cui Rousseau vede da sempre la sua preziosa ricchezza. Tutta la scrittura di Rousseau mira a uno scavo spirituale, all’esplorazione del suo spazio più intimo, alla scoperta dell’io più profondo. Uguaglianza e giustizia non sono fini assoluti, ma condizioni necessarie e valide garanzie perché la libertà sia esaltata, perché ciascuno gioisca del proprio patrimonio più prezioso. Egli alle formule moderate dell’Illuminismo riformista oppose la novità e l’aspra intransigenza delle sue affermazioni. Il gusto solitario e scontroso dello scrittore, la sua tendenza a guardarsi con sospetto da tutti i suoi simili, sono visti in passato come mania di persecuzione. In realtà quel comportamento, i vari conflitti (come quello con Voltaire o Diderot) sono la traduzione di una volontà di autonomia, del rifiuto di ogni conformismo alienante: lo dice chiaramente quando si proclama del tutto estraneo alla rivalità dei due “poli” opposti (quello dei filosofi e quello teologico). Rousseau intende esaltare, in un’età proiettata verso i beni materiali, le esigenze più trascurate, la trasparenza, la gioia delle sensazioni e dei sentimenti, l’abbandono al senso puro dell’esistenza, il beneficio delle eterne illusioni. Afferma che “la sorgente della felicità è dentro di noi”. Ci invita a una suprema riconversione verso i liberi orizzonti dell’io, verso gli spazi della coscienza (difesi contro ogni forma di schiavitù). 4. DENIS DIDEROT 1713-1784 Il padre era un modesto artigiano; Diderot studiò presso i gesuiti del suo Paese (Langres), poi a Parigi al Collège d’Harcourt. La sua giovinezza si svolse all’insegna della stravaganza e dell’indipendenza finché non conobbe Rousseau e in lui nacque una chiara inclinazione filosofica. Nel 1749 viene arrestato (Rousseau andrà poi a trovarlo). Per un ventennio è quasi completamente assorbito, con d’Alembert, dall’impresa dell’Encyclopédie. Si trova in conflitto con Rousseau, che considera un traditore e un nemico dei filosofi. Inventa il dramma, riflette sul mestiere dell’attore, si dedica alla critica d’arte, scrive opere narrative e contemporaneamente polemico-satiriche. Non trascura la riflessione filosofica e scrive tra il 1760 e il 1770 le sue opere più famose (es. “L’Entretien entre d’Alembert et Diderot”). Tra il 1773 e il 1774 va in Russia ospite della zarina Caterina a cui vende la sua biblioteca e in cui vede un modello possibile di dispotismo illuminato (lui che si oppone ad ogni forma di potere dispotico). Diderot, spirito libero, non sopporta il moralismo tradizionale e cede quindi al fascino dell’erotismo libertino. Però poi recede quando si accorge che senza volerlo sta descrivendo compiaciuto i comportamenti di quei ceti dominanti (che disprezza e intende combattere). Qui le sue contraddizioni. Egli polemizza coloro che credono nell’amore eterno, dichiara assurdo il principio della fedeltà, della costanza amorosa, in un mondo in cui tutto si sfalda e logora. Qui si ha un’altra contraddizione perché in una lettera a Sophie Vollande scrive che la trova sempre più bella perché è la magia della costanza. Vorrebbe poter garantire alla donna che ama un affetto non effimero e riceverne in egual misura un amore eterno. Diderot si atteggia a scrittore sovversivo ma rimane un brillante e provocatorio riformista, troppo legato allo stile di vita di un Occidente (così spesso messo da lui in causa), per poter scegliere i percorsi selvaggi e solitari su cui si muove Rousseau. Riguardo la sua personale esistenza, Diderot ha scelto una vita semplice e modesta, ma non riesce a rinunciare ai suoi meravigliosi quadri che adornano le proprie pareti (non rinuncerebbe mai al quadro di Vernet). Non ama l’ostentato lusso dei potenti, ma non ama neppure una vita che si limiti ai bisogni primari, senza arte, senza oggetti che ci commuovono per la loro bellezza. Diderot è oggi conosciuto soprattutto per la sua opera narrativa “La Religieuse”, storia di una monacatura forzata; oppure nel 1748 “Les bijoux indiscrets”, in cui viene trattato il tema della natura dell’ eros; in queste pagine esplode la riscoperta settecentesca e illuministica della radice sensuale, della dimensione corporea. Anche Diderot riconosce l’breve durata di ogni possesso, la noia del desiderio soddisfatto. Ma reagisce in termini diversi rispetto a Rousseau: se ogni possesso alla lunga delude, se ogni piacere produce sazietà, la soluzione non è nella rinunzia, nell’attesa, nell’illusione prolungata (perché anche questo alla fine stanca), ma la soluzione è quella opposta, quella dell’avidità sempre rinnovata e giovanile, dell’ansia di nuove esperienze, di nuovi piaceri, di sempre nuove esplorazioni. Diderot si situa nella posizione della ricerca, è un uomo che va sempre alla ricerca di qualcosa che gli manca. Per lui la materia è vitale, vuole però sottrarsi alla povertà di ogni materialismo che sia privo di prospettive di luce. CAPITOLO 4 – LA MONDANITÀ 1. I SALOTTI Nel 1776 il marchese Caraccioli, di origine italiana ma francese di cultura e formazione, pubblicò il trattato “L’Europe francaise”: intese dimostrare che la Francia aveva imposto all’Europa non solo i suoi modelli culturali ma anche i costumi e i suoi modi, le sue pratiche di vita salottiere e mondane, e ciò grazie alla perfezione della sua lingua, raffinata e altamente espressiva grazie all’uso che sapevano farne nella “civil conversation”. Vi era la regola del saper conversare, del rispetto, della cordialità, del sorriso, che garantiva l’armonia su un piano di perfetta uguaglianza e si risolveva nel rispetto dell’altrui amor proprio. Il talento del saper ascoltare era più apprezzato di quello del saper parlare. Da un lato vi è il primato della femminilità, legato al fatto che la solonnière assicurava un clima di giocosa amabilità; da un lato vi è l’idea che l’arte della conversazione allenasse a quel savoir faire. Le norme vigenti in quel mondo si risolvevano in un codice formale altamente ambiguo. È una mondanità che si configura come emblema di una società corrotta in cui domina non l’essere, ma l’apparire. Insomma la “bonne compagnie” è autosufficiente, gioisce di sé stessa, compiaciuta di sé, poco propensa allo mescolanza (anche se all’orizzonte già vi erano altre realtà sociali e umane). 2. FIGURE FEMMINILI Di quell’allegra, elegante e salottiera convivenza e dei problemi che la sottintendono, varie figure femminili sono state le inventrici e le artefici. Alcune oltre a dirigere, erano anche philosophoes e a volte anche valide scrittrici. Madame du Deffand scrive a Voltaire lettere festose e crudeli, argute e ambigue, che gettano luce sui risvolti combattuti dell’illuminismo. Racconta a Voltaire che vorrebbe fuggire da sé stessa. Il suo pensiero fisso è il dolore di essere nata. Ammira immensamente Voltaire. Trova noiosa l’Encyclopédie, assurda la riforma teatrale proposta Diderot, pazzo e anarchico Rousseau. Madame du Chatelet invece tra un ricevimento mondano e un raffinato banchetto, tra un litigio con l’amico- amante Voltaire medita sulla felicità e scrive brevi e intense pagine. Nel 1779 con “Réflexions sur le bonheur” racchiude le contraddizioni dei Lumi. Da un lato propone un controllo dei desideri e delle passioni (che può giungere sino alla vetta della rinunzia), dall’altro il pensiero libero dei piaceri del vivere (che vanno dal gusto della buona tavola, all’erotismo più studiato e ricercato). Rinunziare non significa porre fine al piacere, ma garantirne il più duraturo perseguimento. La contraddizione di cui si parlava riguarda il rapporto tra verità ed errore, tra illusione e ragione. Afferma che le illusioni sono necessarie per vivere ed essere felici, ma condanna l’errore, e in particolare tutti i pregiudizi e le credenze religiose (mai sostenute dalla ragione). Se “religione” è errore è perché propone alla mente e ai cuori un Assoluto illusorio (poiché intraducibile in tangibili verità). Per lei la felicità si trova nell’appagamento dei desideri. Senza saperlo, la marchesa metteva a nudo le contraddizioni e le debolezze di un’epoca. Il radioso ottimismo dei Lumi era solo una facciata, ci vorranno forse gli sconvolgimenti della storia per far crollare le certezze della ragione, per far affiorare nella loro compattezza delle crepe. CAPITOLO 7 – MORALE E MEMORIA 1. IL CENACOLO DI COPPET Venne detto che “si spendeva più intelligenza a Coppet in un giorno, che in tutto il resto del mondo in un anno”. Ne fecero parte tra il 1799 e il 1815 gli esponenti più in vista della cultura europea di quegli anni, oltre che Madame de Staël (1766-1817). L’imperatore punì M. de Staël anche per quel suo trattato (“De l’Allemagne”) in cui si parlava di un popolo di cui in Occidente nessuno aveva mai parlato fino ad allora con tanto rispetto e ammirazione (scritto proprio negli anni in cui prussiani e austriaci vengono travolti dal ciclone napoleonico). Napoleone nel 1810 fa sequestrare e distruggere l’opera (il libro uscirà in Inghilterra solo nel 1813 e l’anno dopo a Parigi). Il libro ha lacune ed errori, ma è notevole come lei avverta che proprio negli anni segnati dalla disfatta militare e politica la cultura germanica stia dando i suoi frutti e si stia rivelando come la più avanzata, ricca e originale di Europa: la cultura (cioè la creazione letteraria e poetica e il pensiero filosofico) di coloro che hanno saputo proporre nuove vie, un riscatto spirituale, l’ardore religioso di un entusiasmo che favorisce la riscoperta degli spazi sacri dell’io. Il rapporto col potere non fu rettilineo, ciò si spiega con le contraddizioni di un’epoca in cui i fasti imperiali non spengono le nostalgie rivoluzionarie e in cui lo stesso imperatore si atteggia da un lato a despota autoritario di un nuovo regime, dall’altro a erede di spiriti libertari, di riformismo illuministico. All’inizio la stessa M. de Staël ammirò Bonaparte (rimase folgorata dal suo sguardo), che aveva mostrato all’opinione pubblica “la sua vera strada”, cioè la strada del confronto, del libero dibattito. Napoleone aveva un preciso progetto politico, in cui anche gli intellettuali avevano un ruolo ben definito: la costituzione del 1802 voleva fare degli intellettuali, dei funzionari dell’Impero. Tra Napoleone e M. de Staël rimaneva un’incomprensione profonda, poiché Napoleone aveva una diffidenza nei confronti dei filosofi e la Staël la alimentava con la sua passione ideologica. Così M.de Stael dovrà risiedere a non meno di 40 leghe da Parigi e si avrà così l’esilio a Coppet, viaggi in Germania, Russia e Italia (quest’ultimo viaggio ispirò alla scrittrice il romanzo Corinne, ou l’Italie). Madame de Staël fu autrice di varie opere: De l’Allemagne, Corinne, Delphine, De la littérature considerée dans ses rapports avec les istitutions sociales (del 1800, testo fondatore del nuovo gusto romantico: è centrale l’idea della letteratura come attività creativa di elevata ispirazione filosofica, intesa alla difesa dei diritti e alla contestazione di ogni arbitrio autoritario). Compagno di vita per Madame de Staël fu Benjamin Constant, che demolisce gli schemi illuministici e propone una riflessione sull’esigenza religiosa di ogni uomo. Egli difenderà anche la libertà di stampa e i principi liberali. 2. GLI << IDÉOLOGUES>> Gli idéologeus sono gli esponenti di un gruppo di intellettuali ostili al potere napoleonico (tanto che Napoleone ne decretò la chiusura). Essi indagavano principalmente sulla costituzione fisica dell’uomo (intelligenza, carattere, passioni). Ambigua rimaneva la figura del primitivo: da un lato un “buon selvaggio” che è la voce della sua buona coscienza; dall’altro un “ignobile selvaggio” che rappresenta la più oscura affiorare delle sue paure e dei suoi interessi espansionistici. Quindi da un lato una visione radiosa dell’umanità primitiva, ignara di tabù e divieti, contenta del poco, innocente e felice; dall’altro un benevolo paternalismo, con la convinzione di portare la civiltà e la verità a genti immerse nelle tenebre. Quindi non si può parlare di un Settecento tutto rousseauiano, progressista, contrapposto al secolo reazionario e razzista, poiché la stessa cultura illuministica (apparentemente aperta e innovatrice) si compiace di formulazioni contrastanti. Una scienza orientata verso lo studio delle connessioni tra filosofia e morale. Credono nella possibilità di un discorso scientifico, in vista di una più approfondita conoscenza degli uomini. Nasce la dignità di una nuova scienza. Può anche situarsi in questo quadro la battaglia contro lo schiavismo in difesa dei neri. L’OTTOCENTO CAPITOLO 8 – IL ROMANTICISMO: LE ORIGINI Già dalle varie definizioni che si attribuiscono al Romanticismo si capisce il fatto che ad esso sono attribuite una pluralità di tendenze: esperienze artistiche letterarie diverse, unite da uno stesso impulso di innovazione, confluiscono in un unico grande movimento, dotato comunque di forti elementi di coesione. Si afferma pienamente in Francia tra il 1810 e il 1840, anche se già nel Settecento si erano formate le radici romantiche. Mentre in Germania si elaborano le prime teorie romantiche, in Francia la Rivoluzione libera forti spinte irrazionali: il bagno di sangue del 1792, la decapitazione della famiglia reale, poi di Robespierre nel 1794, diedero la sensazione di essere alla fine dei giorni (in una dimensione apocalittica). Si sviluppano le idee di un disegno provvidenziale contrario alla ragione e all’idea di progresso; così le profezie e la fiducia in forze oscure si moltiplicano. Fioriscono o rifioriscono società segrete, anche di ordine martinista: da Louis-Claude de Saint-Martin, che poneva al centro del proprio pensiero la caduta del mito e la concezione della sacralità della lingua (dono di Dio che a seguito della caduta si è corrotto rendendo impossibile la fusione tra natura e spirito). Infatti da lui si origina la concezione romantica del poeta/vate, appoggiata poi da Victor Hugo, che afferma che il poeta attraverso l’immaginazione coglie la verità del creato, accedendo alla verità superiore; riacquistando così la purezza perduta della parola. Ballanche elabora l’idea di una catena magnetica degli esseri, in cui tutti sono legati all’eternità. Il Poeta entra in contatto con Dio e acquista così la percezione contemporanea di presente, futuro e passato, legati dalla stessa catena, arrivando così a un livello di conoscenza superiore. Da qui nasce: l’idea della catena degli esseri che giustifica la proiezione di un oggetto materiale in uno spirituale (che è il corrispondente simbolico), così come sarà suggerito nel sonetto delle Corrispondenze di Baudelaire. Al centro del pensiero dell’epoca vi è un senso religioso e un rifiuto del pensiero scientifico (almeno per i primi due decenni, prima che Balzac non cerchi di ricomporre gli opposti). La religione viene considerata la forma primaria di ispirazione: la stessa Madame de Staël sancisce il rapporto diretto tra fede e creazione artistica (affidare all’autore e alla sua divina ispirazione tutta la responsabilità della creazione). Negli stessi anni di M. de Staël, François-René de Chateaubriand (1768-1848) suggerisce un modello di eroe romantico. Nel 1802 pubblica “Génie du Christianisme”, concepito a Londra, per difendere il cristianesimo dall’ateismo (in risposta a Necker, il padre di Madame de Staël, che definiva il cattolicesimo la religione dei poveri; invece Chateaubriand lo vedeva come l’espressione di spiriti colti, amanti della bellezza e dell’arte). In questa opera inserisce anche due racconti (da un considerevole successo): Atala e René, i quali si situano nel “romanzo dell’io”. Tra il 1803 e il 1841 compone “Mémoires d’Outretombe” che rappresentano la sensibilità romantica, dominata dalla nostalgia del passato e del sentimento della morte. In opposizione al conformismo conservatore di Chateaubriand, e dal comportamento ribelle di disprezzo assoluto della società, vi era Byron. Il dibattito delle diverse idee si svolge sulle pagine di due giornali: “La Muse Française” (di ispirazione monarchica, fondata da Hugo) e “Le Globe” (liberale, che diviene un foglio politico). Inoltre sono anni politicamente bui, in cui l’assolutismo di Carlo X, con la soppressione della libertà di stampa, lo scioglimento della Camera dei deputati e leggi sempre più malvagie, convincono lo stesso Hugo a spostarsi su una linea più liberale. Nel 1830 Luigi Filippo d’Orléans si fa proclamare re dei francesi, anziché re di Francia. I nobili più conservatori non si sentono rappresentati dalla nuova monarchia e si ritirano in splendido isolamento, mentre coloro che avevano sperato nella Repubblica vedono crollare i loro sogni. CAPITOLO 9 – IL PRIMO OTTOCENTO 1. LA POESIA Alcuni dei temi principali erano: sentimento del tempo che fugge, meditazione sulla morte (la meditazione implica un rapporto diretto dell’autore con ciò che scrive, affermandone la soggettività), smarrimento di fronte all’eterno. Il poeta deve essere un Vate (deve marciare davanti al popolo come una luce e mostrare la via), deve parlare al sentimento e mettere in comunicazione con Dio. Il concetto rivoluzionario consiste nell’affermazione che il campo della poesia è illimitato; ciò è complicato dalla distinzione tra realtà e verità, infatti il poeta non deve fermarsi alla superficie delle cose ma deve cogliere anche le idee che vi sono in profondità: è lì che si trova la verità e il fatto poetico (“poetica dell’intimità”). Non ci sono modelli da seguire: l’artista è solo, in intimo confronto con le cose. Poco dopo il principio della libertà assoluta del poeta, porterà con sé un’altra conseguenza facendo rintrodurre quella mitologia che era stata rifiutata (Victor Ugo rende omaggio al mito della Grecia e scrive quasi sotto forma di diario). Dal 1840 fino alla fine del secolo, si passa a una seconda fase romantica, caratterizzata da virtuosistiche descrizioni di scenari naturali, di straordinaria sapienza ritmica, in cui la poesia concorre con la pittura, assumendo come unico credo “l’arte per l’arte”. Gautier sottolinea il senso di impotenza delle nuove generazioni alla vita polita; mette in scena un giovane romantico dai tipici tratti di stanchezza e disillusione (“a vent’anni potevano inchiodarlo nella bara, cadere senza illusioni”). 2. IL ROMANZO DELL’IO Il romanzo dell’io è limitato ai primi anni del secolo (poi si hanno come titoli un cognome o un nome e un cognome). È “René” di Chateaubriand a dare inizio alla serie dei romanzi che hanno per titolo un nome di persona. René oscura il rapporto amoroso tra lo stesso scrittore e la sorella durante la giovinezza trascorsa nel castello di Normandia, e la monacazione autopunitiva di lei. Con la morte della giovane in convento e la fuga di René in America si apre il romanzo Atala. Entrambi i racconti introducono la figura angelicata dell’eroina romantica votata a morte prematura, ma soprattutto in René raffigura un nuovo atteggiamento di fronte alla vita: René rifiuta la folla e si ritira in meditazione nella natura e l’oggetto della contemplazione riguarda proprio sé stesso e il proprio stato d’animo, cioè un’insoddisfazione generale. Chateaubriand definisce tale stato d’animo con l’espressione “le vague du passion” (l’incertezza delle passioni), che diviene la formula della sua epoca: si è tristi per incapacità di vivere. Non riuscendo a trovare un oggetto in cui incarnare il suo desiderio e il suo bisogno d’amore, si sente oppresso da “una sovrabbondanza di vita” ed è quindi spinto alla malinconia secondo una pulsione tipicamente adolescenziale, che diventa però quella di tutta una generazione. In Italia, il suo coetaneo Jocopo Ortis, oltre a soffrire di un amore non corrisposto, è infelice anche per via della società. Nel 1807 Madame de Staël propone invece un romanzo dell’io al femminile “Corinne ou l’Italie” con una protagonista dal carattere vivace ed estroverso, solare e socievole, donna libera in un mondo governato dagli uomini. Alla naturalezza di Corinne si oppongono le incertezze del suo innamorato lord Nevil, che poi alla fine si sposerà con la sorellastra di Corinne, e ciò la indurrà alla morte per dolore. Negli stessi anni Benjamin Constant scrive “Adolphe”, un romanzo da una base autobiografica in quanto è facile intravedere nella protagonista femminile (Elléonore) la stessa Madame de Staël. Anche Adolphe, come René, è dominato dallo stesso senso di insoddisfazione, ma al suo contrario non si isola (con totale assenza del sentimento di Dio). CAPITOLO 10 – I GRANDI AUTORI DELLA METÀ DEL SECOLO 1. CHARLES BEAUDELAIRE All’inizio del 1840 Baudelaire rappresenta il rinnovamento poetico su cui si innesta il movimento simbolista e decadente, e la poesia novecentesca. Affida la sue idee sull’arte e i suoi Consigli ai giovani letterati agli scritti giornalistici. Sulla scia dell’atteggiamento romantico (in particolare di Chateaubriand) il poeta deve essere un dandy (damerino), colui che detta la forma e regola le maniere. Il poeta è infatti l’interprete della propria epoca: la sua poesia è veramente grande, crea il proprio pubblico, eleva gli animi. Si definisce romantico, poiché fa coincidere l’epoca moderna con il Romanticismo (intimità, colore, spiritualità, aspirazione verso l’infinito, espressi in tutti i modi possibili delle arti). La sua attività di critico letterario, artistico e musicale gli permette una costante discussione dei valori estetici, portandolo ad una teorizzazione di Bello e del suo rapporto con la storia. Per lui il Bello assoluto esiste solo come tensione ideale, costretto a incarnarsi nel tempo (subendo le variabili della moda e del gusto). Baudelaire definisce un ruolo dell’artista consapevole, capace di opporsi ai gusti mediocri dei borghesi. Per lui l’arte deve essere accompagnata da una forte consapevolezza critica, ciò porta a pensare che possa definirsi un poeta antiromantico (poiché la definizione base di “classico” è “lo scrittore che porta un critico dentro di sé”). Ha iniziato a scrivere “Les Fleurs” nel 1843; inizialmente pubblicate con il titolo “Les lesbiennes” (raccolte dedicate a figure femminili); poi con il titolo “Les Limbes” (rappresenta l’avvento di una società migliore, successivamente “il limbo” assume il significato di una zona in cui poteva muoversi ai limiti di una società che disconosceva); il titolo definitivo “Les Fleurs du mal” (allude ad un’epoca moderna corrotta e decadente (un libro rivestito di una bellezza sinistra e fredda, fatto con furore e pazienza = il gelo della forma perfetta che imprigiona un materiale incandescente). Nella prima edizione del 1857 l’opera è composta da 99 poesie (le attribuisce un sapore medievale poiché 99 erano i canti della Divina Commedia), precedute da una dedica a Gautier (che indica uno schieramento in nome dei valori assoluti della poesia e della sua perfezione formale). Il poeta delle Fleurs du mal è in fondo drammatico. Sono un’opera dominata dal mito della Caduta, dalla nostalgia dell’Eden perduto, con il sentimento della mancanza, della malattia e della decadenza. In cui però tutte le forme di degradazione sono riscattate nella perfezione dell’arte, in cui si stabiliscono corrispondenze tra ciò che è in basso e ciò che è in alto, tra la materia e lo spirito, in una fortissima tensione verso l’infinito. Negli scritti critici Baudelaire si richiama più volte all’allegoria, in cui vede una delle forme primitive più naturali della poesia, senza però distinguerla nettamente dal simbolo: entrambi derivano dal principio di analogia, di cui rappresentano la condensazione poetica. L’allegoria rappresenta l’ultimo passaggio della trasformazione di un fenomeno in concetto, e del concetto in immagine. Tale dimensione è sottolineata nelle Fleurs anche da numerosi termini astratti (che saranno poi utilizzati da Rimbaud che vede in Baudelaire un vero Dio). Nel frattempo comporrà anche dei piccoli componimenti in prosa (“Petits poémes en prose”) che usciranno nel 1869, con un’ambientazione parigina (che è allo stesso tempo una condizione dello spirito), con l’amore per la solitudine. I suoi testi sono calati nella modernità; anche se sono in prima persona, ciò non garantisce la certezza del punto di vista. Baudelaire ambisce ad una prosa musicale senza ritmo e senza rima, capace di adattarsi ai movimenti lirici dell’anima. Se non fosse stato colpito dalla paralisi totale, avrebbe voluto poter lavorare di più. 2. GUSTAVE FLAUBERT Flaubert poco dopo l’uscita delle Fleurs, scrive all’amico Flaubert di “aver trovato il modo di ringiovanire il romanticismo”. Madame Bovary rappresenta “Les Fleurs du male” di Flaubert, dove lo squallore della vita e l’adulterio sono la sostanza insignificante che dà vita a un’opera di straordinaria armonia compositiva. Emma rappresenta l’insoddisfazione esistenziale (infatti una volta sposata con Bovary, inizia a tradirlo con più uomini proprio perché annoiata dal poco entusiasmo di suo marito nella vita). Flaubert scrive diversi generi: racconto filosofico, racconto fantastico, autobiografia, dramma, racconto storico. Effettua numerosi interventi in prima persona. In un insieme di riflessioni dal titolo “Agonies” (dedicato a Maupassant) esprime la sensazione di vivere in un’epoca in cui tutto ormai è già avvenuto. Flaubert come Baudelaire si sente schiacciato dal mondo della finitudine e ha un uguale sogno di infinito; inoltre, come lui, manifesta la stessa avversione di Baudelaire per il culto del progresso e per l’utopia umanitaria, dietro cui vede nascosta una visione del mondo superficiale e riduttiva. La ricerca sarà presente nelle sue opere (in particolare in Madame Bovary e in “Éducation sentimentale”): cioè lo studio dell’epoca, dei costumi, del Paese e degli uomini. Cerca l’irradiazione della Bellezza e tende alla costruzione di un’opera basata sulle emozioni dell’intelligenza (e non sulla sensazione o sul divertimento). In Italia nel 1859 si condanna l’eccessivo realismo di Flaubert e di Beaudelaire. Infatti sarà proprio la corrente verista ad appropriarsi dello scrittore. Nella sua produzione c’è un’alternanza tra opera ambientante nel mondo contemporaneo (di argomento realistico) e altre a carattere storico, dove la potenza immaginativa è innescata dall’esattezza del sapere. Nel 1880 Flaubert muore e al suo funerale saranno presenti i principali autori che animeranno la fine dell’ottocento.